Se i genitori non possono mantenere i figli: che fare?

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Tommaso de Torquemada
00mercoledì 31 gennaio 2018 14:39
laleggepertutti.it
Alimenti: il dovere dei nonni di aiutare i genitori che si trovano in stato di bisogno economico.

Eventi sopravvenuti e imprevedibili possono portare i genitori a non avere più la possibilità economica di mantenere i propri figli. Un’invalidità lavorativa, la perdita del posto per licenziamento, l’incremento delle spese mediche dovute a una malattia improvvisa, la stessa separazione e il conseguente divorzio tra i coniugi sono tutti eventi che possono mettere in ginocchio l’economia domestica, costringendo i genitori a chiedere un sostegno ad altri. Prima però dello Stato, a dover correre in loro soccorso sono gli stessi parenti, coloro cioè che sono legati a vincoli di sangue particolarmente stretti. È la stessa legge che lo impone, definendo i soggetti e la misura del contributo dovuto per sostenere il nucleo familiare in difficoltà economica. Di tanto ci occuperemo in questo articolo: spiegheremo in particolare che fare se i genitori non possono mantenere i figli; parleremo dei cosiddetti «alimenti» ossia i sostegni che i parenti sono tenuti a versare per il mantenimento dei bambini.

Partiamo da ciò che prevede la legge. La norma “chiave” la troviamo nel codice civile [1]: qui si legge che quando entrambi i genitori non hanno i mezzi sufficienti, gli altri ascendenti in ordine di prossimità sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere ai loro doveri nei confronti dei figli.

Gli ascendenti sono i nonni dei bambini, sia i nonni materni che paterni. Vi rientrano anche i bisnonni, ma non sempre sono in vita.

Non avere i «mezzi sufficienti» significa versare in stato di bisogno ossia non essere in grado di far fronte alle esigenze fondamentali della propria vita per mancanza di adeguate sostanze patrimoniali e involontaria mancanza di un reddito di lavoro. Si pensi al caso di invalidità al lavoro per incapacità fisica.

Per poter chiedere il contributo dei nonni è necessario che entrambi i genitori – e non solo uno dei due – siano in condizioni di disagio economico. Pertanto, non scatta il diritto agli alimenti in caso di coniugi separati o divorziati quando non viene versato l’assegno di mantenimento se il genitore con cui i figli vivono è comunque in grado di mantenerli. Il dovere di mantenimento ha infatti carattere sussidiario, nel senso che se uno dei due genitori non può o non vuole adempiere al proprio dovere, l’obbligo di mantenimento spetta per intero all’altro genitore che deve far fronte a tali esigenze con tutte le sue sostanze e con la propria capacità di lavoro.

Altro aspetto essenziale: il contributo dei nonni non va versato nelle mani dei nipoti (ad esempio con regali o con l’acquisto di abiti) ma in quelle dei genitori affinché stabiliscano le necessità dei figli e vi provvedano. La norma dice infatti che gli ascendenti devono «fornire ai genitori i mezzi necessari».

Vediamo ora cosa si intende con «mezzi necessari» o, in altre parole, a quanto ammonta il contributo che i nonni devono versare. Il contributo deve essere in proporzione sia al bisogno dei nipoti, sia alle condizioni economiche dei nonni. Dunque, tutti e quattro i nonni (se ancora in vita) sono chiamati a versare gli alimenti ai genitori dei loro nipoti qualora questi versino entrambi in stato di bisogno, ma tale obbligo viene ripartito in base alle rispettive capacità economiche. Non è corretto allora pensare che, in presenza di tre nonni con una pensione media e uno benestante, a pagare gli alimenti sia solo quest’ultimo; al contrario dovranno contribuire tutti quanti, ma quello più ricco verserà di più degli altri.

Non bisogna confondere gli alimenti con il mantenimento. Quest’ultimo ammonta a un importo superiore. Invece gli alimenti che versano i nonni in favore dei nipoti è limitato a soddisfare il necessario per la vita (e non invece tutte le esigenze quotidiane, anche quelle non strettamente indispensabili per la sopravvivenza).

Secondo la giurisprudenza [2] l’obbligo di versare gli alimenti comprende anche un’assistenza e supporto concreto al soggetto in stato di bisogno, in termini di presenza, compagnia, conforto e affetto.

L’obbligo dei nonni di aiutare i genitori nel mantenere i figli (ossia i loro stessi nipoti) non rimane solo finché questi sono minorenni, ma – come per l’obbligo di mantenimento dei genitori – fino a quando non hanno la capacità di mantenersi da soli per aver trovato un reddito stabile e quindi l’indipendenza economica.

Se i nonni non versano gli alimenti, i genitori in stato di bisogno economico possono citarli in tribunale e ottenere dal giudice una sentenza che li condanni a versare le somme necessarie per i loro figli.

Spetta al genitore dimostrare i presupposti per il diritto agli alimenti ossia lo stato di bisogno di entrambi i genitori e le capacità economiche dei nonni.

Gli alimenti sono dovuti dal giorno del deposito della domanda giudiziale o della costituzione in mora del debitore se entro i 6 mesi viene presentata la domanda. Non sono quindi dovuti gli alimenti per il passato.

NOTE
[1] Art. 316bis cod. civ.

[2] Trib. Genova, sent. del 26.05.2003, C. App. sent. 1.03.2002: «Il coobbligato che abbia soddisfatto integralmente i bisogni dell’avente diritto agli alimenti può esercitare verso gli altri coobbligati azione di regresso, azione che è riconducibile alla regola dell’utile di gestione in quanto l’intento di gestire l’affare altrui, in difetto di un’opposizione dell’interessato, è insito nella consapevolezza del carattere cogente e del relativo obbligo. Il costo delle attività effettuate dal gestore non può essere valutato in rapporto ai probabili guadagni giornalieri mancati del gestore, dovendo applicarsi il criterio oggettivo del controvalore delle prestazioni effettuate tenendo altresì conto di quanto la persona bisognosa abbia potuto direttamente percepire sia a titolo di assistenza sanitaria sia a titolo di sicurezza sociale e di pubblica e privata assistenza da parte degli enti a ciò preposti. Nel concetto di alimenti ex art. 433 c.c. rientra l’attività di assistenza, intesa come prestazione personale di supporto globale al soggetto in stato di bisogno, in termini di presenza, di compagnia, di conforto e di affetto. Detto concetto di supporto globale si deve però tradurre in una prestazione di materialità concreta non potendo coincidere con il concetto di “presenza”, di “custodia” generica: si che eventuali limitazioni o “sacrifici” della libertà di vita sono conseguenza di un’autonoma scelta nell’adempimento di un dovere; scelta alla quale non può per ciò inerire un compenso in senso tecnico».
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