Se anche il corpo dice chi siamo

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Tommaso de Torquemada
00mercoledì 10 agosto 2016 19:42
di Tommaso Scandroglio 09-08-2016


Corpi al sole. L’umanità è varia, soprattutto in spiaggia dove il fisico non farà il monaco, ma comunque può dire molto sul bagnante e forse più degli abiti che tornerà a vestire alla sera. Un dato che i corpi in costume gridano a tutti è il tasso di attenzione della persona per il suo stesso fisico.

Profili di giare appoggiati su esili gambette, divanetti adiposi, colli trasformati in gorgiere di pelle e grasso, arti gonfiati a duemila bar, magrezze anoressiche, deretani e seni che da tempo hanno alzato bandiera bianca contro le Forze della Gravità, invincibile armata che anno dopo anno diventa sempre più spietata. La spiaggia così diventa un palcoscenico di un’umanità che sarà pur santa – in dubio pro reo – ma di certo non bella esteticamente, gioventù compresa.

In genere, mimando la scusa della volpe che non riusciva a raggiungere l’uva, ci si difende con l'affermare che l’importante è la bellezza interiore, la preziosità della propria anima. Vero, ma noi siamo anche il nostro corpo. Non abbiamo un corpo, ma siamo esseri corporei. Già lo spiegava Aristotele e la Chiesa ha fatto suo questo principio: la persona è sinolo, cioè unione strettissima, di forma e materia, di anima e corpo. Quest’ultimo viene qualificato come tempio dello Spirito Santo solo quando il discorso finisce sul sesto comandamento o quando si scivola su qualche vizio come il fumo e l’abuso di alcol. Ma se il corpo è tempio dello Spirito Santo allora bisogna custodire questo tempio e semmai restaurarlo se andato in malora. E ciò per più motivi.

In primo luogo la nostra natura è in continua tensione verso il perfezionamento di tutta la persona umana. Noi abbiamo il dovere morale di migliorare noi stessi, un dovere perfettivo che si articola in tutte le dimensioni, anche quella corporea. Sicuramente le virtù teologali e cardinali valgono molto di più che un addome scolpito, ma una cosa non esclude l’altra. Il dovere di essere il meglio di noi stessi coinvolge la totalità della persona e quindi anche il suo aspetto fisico. L’importante, come è ovvio, è rispettare la gerarchia tra corpo e anima. Vale molto più questa che quello, banale a dirsi.

E dunque se Tizia ha un’attenzione maniacale verso lo smalto delle sue unghie, ma non si inginocchia mai davanti ad un tabernacolo – forse anche per il timore di ulcerare o solo arrossare le ginocchia – significa che il suo vero Dio non è in quel tabernacolo, ma in una boccettina di smalto color pesca. Chiaro è che il corpo può essere oggetto di attenzione narcisistica o di ossessione, ribaltando così la gerarchia naturale di cui sopra. Ma i girovita infiniti e gli indici di massa corporei elefantiaci – al di là naturalmente di patologie connesse – spesso testimoniano anche l’esistenza di un’obesità della volontà che non riesce più a concepire lo sforzo di fare sport e la fatica di rinunciare a quel fromage francese così irresistibile.

A volte un sano narcisismo è utile per combattere la pigrizia. La cura del corpo aiuta anche lo spirito: praticare uno sport ed essere attenti all’alimentazione è una palestra anche per l’anima che si abitua alle rinunce, alla determinazione, alla perseveranza, all’esercizio dell’umiltà, al sapore della sconfitta e al dolore. Quindi, in prima battuta, siamo chiamati a perfezionare la natura, a diventare – per quello che è possibile e tenendo conto di altre priorità – anche più belli. É il preludio di quello che attenderà i beati. Alla risurrezione dei corpi, l’aspetto fisico degli eletti sarà magnifico. In Paradiso sono tutti bellissimi. Dei Brad Pitt e Angelina Jolie al cubo, tanto per intenderci.

Ciò significa che la bellezza è un valore a cui tendere e dunque un talento già su questa terra. Di certo un talento che vale meno di altri – intelligenza, mitezza d’animo, etc. – ma pur sempre un talento. La sacra Sindone ci restituisce l’immagine di un Uomo dall’aspetto regale: le proporzioni perfette, le spalle larghe, il busto virile, il volto severo, il fisico asciutto. Sfigurato nel viso e martoriato nelle carni, la bellezza di quel corpo non è stata però intaccata. Dio ci chiama ad essere belli, dentro e fuori. Una chiamata che è anche al servizio dell’apostolato.

In una società fortemente estetizzante come la nostra indispone non poco incontrare il sacerdote mal vestito perché spesso in borghese (cioè fuori servizio), eppure clergyman e talare fanno eleganti tutti; il conferenziere chiamato in parrocchia che veste come i testimoni di Geova; la catechista ambientalista con la ricrescita dei capelli in orgogliosa bella vista; l’ “educatore” d’oratorio che più nerd non si può; la responsabile dell’associazione cattolica che pare una mondina del primo novecento. Il biglietto da visita che diamo agli altri, nolenti o volenti, è il nostro aspetto fisico. Se dobbiamo attrarre gli altri a Cristo, che il Bello per eccellenza, e noi siamo impresentabili, chi ci seguirà? Che il nostro fisico dunque sia lo specchio della nostra anima. Se questa deve essere in grazia di Dio che lo sia anche il nostro aspetto che, in un certo qual modo, comunica il nostro mondo interiore.

L’incarnazione significa anche usare dei sema del mondo – sempre che non siano falsi – per comunicare agli altri che utilizzano lo stesso linguaggio. In parole povere, se mandate a parlare sulla castità a dei giovani il professor Adalgiso De Orridis che si presenta con panzetta d’ordinanza, riporto, pelle seborroica, occhiali con lenti a fondo di bottiglia, giacca in tessuto scozzese e cravatta con fantasie di animali, state pur certi che il De Orridis anche se preparatissimo sortirà l’effetto opposto a quello desiderato dagli organizzatori della conferenza, incrementando esponenzialmente gli amplessi pre-matrimoniali. Équestione di credibilità, non di superficialità, che passa anche, ma non solo, per un fisico curato e un abbigliamento alla moda.

In secondo luogo la cura del proprio corpo, mangiando sano e facendo attività fisica, significa anche tutela della salute. Se la vita è dono preziosissimo, questa esige un rispetto altrettanto attento. Infine il valore del corpo, per il cristianesimo, è testimoniato anche dal dogma della resurrezione. Il corpo non è un orpello, un accessorio del nostro essere, o peggio una gabbia da cui liberarci, come la intendeva Platone o come la intendono i buddisti. Ma è ciò che determina la nostra identità in questo mondo, così prezioso che Dio lo chiama all’eternità.
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