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I frutti velenosi della neochiesa

Ultimo Aggiornamento: 29/10/2016 22:51
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29/10/2016 22:51
 
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di Cristiano Lugli 28 ottobre 2016
Da tre diocesi, tre esempi della situazione drammatica in cui si vive. La “libertà religiosa” e la “dignità umana”, affermazioni ambigue che hanno creato disastri. Il gregge è senza pastori, o addirittura i lupi si sono travestiti da pastori?

di Cristiano Lugli



Il problema principale della famiglia cattolica, oggi, non è più solamente costituito dagli sforzi che si devono fare per proteggere i figli da ciò che uno stato laico, illuminista e massonico vuole imporre nelle menti più malleabili e ancor prive di retta coscienza, ma anche per difenderli da lupi travestiti da pecora, a capo di parrocchie, curie e diocesi che siano.

Persino un problema tanto allarmante quanto il gender – vera e propria teoria diabolica – non trionfa solo nelle riforme che i potentati nazionali e sovranazionali vogliono portare a pieno regime di compimento ovunque, ma anche all’interno della neochiesa e di tanti rappresentanti indegni che ne sono posti a governo. Le molte contraddittorie affermazioni di Bergoglio non sono servite che a mettere l’imprimatur su di un percorso calcato già da molti anni.

Un sacerdote un giorno mi disse che il gay-Pride a Roma non ci sarebbe mai stato senza la Dignitatis Humanæ, e infatti la dichiarazione della cosiddetta “libertà religiosa” ha recato un danno immane non solo alla Chiesa, ma anche all’intera società. Essa ha fatto affermare il privilegio dei “diritti della coscienza”, dichiarati in modo limpido da Mons. De Smedt: «La libertà religiosa sarebbe vana se gli uomini non potessero tramutare gli imperativi della loro coscienza in atti esteriori e pubblici».

Il risultato appare oggi più che mai compiuto: saldatosi con i principi illuministi della dea ragione, la Marianna idolatrata su cui piangere le vittime del liberalismo – sostituita alla Fides che illumina la Ratio – la “libertà religiosa” e quindi “libertà di coscienza” ha introdotto il dovere per ogni singolo individuo di ascoltare la propria coscienza, prima ed immediata regola dell’azione; non importa poi se questa è una coscienza vera e retta, potendo essa essere anche fallimentare ed erronea, purché sia lasciata al compimento del personalistico corso, corso che possiamo “irrazionale”, perché privo di ogni criterio oggettivo di riferimento.

Alla libertà di coscienza si è aggiunta la distorsione del concetto di “dignità umana”, prendendo l’uomo come figura portante del cosmo, e non più Dio come unico e solo riferimento: «Anche noi, e più di chiunque altro, abbiamo il culto dell’uomo», disse Paolo VI nel dicembre del 1965.

È il risultato di un Concilio che si definì entusiasta di sperimentare la libertà, nel senso più laicista del termine: «Questo Concilio Vaticano dichiara […] che il diritto alla libertà umana si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana» (DH 2).

L’uomo andava dunque lasciato “libero” di agire, libero di ricercare Dio e il culto che più lo soddisfacesse nella maniera più consona al proprio “percepire”; ciò che oggi è divenuta “l’esperienza della fede”. È il principio fondamento di ogni liberalismo, come lo definiva il Cardinale Billot.

Invero queste manomissioni della Dottrina di sempre hanno portato una nuova ventata sopra Roma, prontamente allargate al mondo intero, devastando i mezzi di Salvezza che Nostro Signore ha ordinatamente disposto a servizio delle anime mediante la Santa Chiesa. Pensiamo ai sacramenti in generale, ma in particolare ai due più frequenti ossia la Confessione e la Comunione, ridotti ad essere concepiti l’uno come una chiacchierata fra amici e l’altro come la preparazione ad un incontro conviviale.

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I frutti che ci vengono dati da coloro che dovrebbero essere pastori di pecore sono velenosi. Tra i (purtroppo) tanti esempi, ne prendiamo tre, tutti riguardanti vescovi:

Mons. Lauro Tisi, Arcivescovo di Trento, ha parlato poco tempo fa al PalaTrento in occasione dell’incontro per la “Pastorale Giovanile”, tenutosi il 15 ottobre scorso. L’appuntamento ha richiamato un notevole numero di giovani legati alle parrocchie ed a varie associazioni.

Ascoltando le parole pronunciate da Tisi in occasione del suddetto incontro, si può capire il motivo per cui folle di giovani stanno ad ascoltarlo: perché il Vescovo, amante della “Chiesa in uscita”, dice parole sconcertanti, accattivanti, “facili”.

Secondo Tisi, infatti, “Gesù non era affatto un uomo triste, l’hanno reso triste preti e catechiste. Gesù era un festaiolo, lo chiamavano mangione e beone, era uno che sfruttava le feste per incontrare gli altri. Ma vi dico di più: faceva feste borderline, con gente borderline. Altro che gente con orecchino e piercing: si circondava di persone che oggi un buttafuori le avrebbe buttate fuori veramente. Feste incredibili. E anche oggi è amico delle persone un po’ fuori, dei ragazzi con il piercing, della gente che ha voglia di fare festa, di urlare e danzare. Perché anche lui danzava, cantava e faceva feste”.

Insomma, dalla descrizione Gesù sembra un Fabrizio Corona, e chi non lo crede può ascoltare direttamente le parole di Mons. Tisi sull’audio registrato durante l’incontro pastorale (http://www.ildolomiti.it/video/societa/le-parole-del-vescovo-tisi-gesu-piaceva-fare-festa-e-oggi-ama-i-ragazzi-con-il ).

Il vescovo celebra dunque il riso degli stolti: la festa, il piercing, i tatuaggi e la “gente un po’ fuori”. Porta la chiesa trentina nel solco della svolta di Bergoglio, sbeffeggiando la divinità pur di piacere al mondo, in conformità alla morale modernista per cui è il Vangelo che deve sottomettersi al mondo e non più viceversa.

Alla stregua dei progressisti si allinea ancora più scandalosamente Mons. Johan Bonny, vescovo di Anversa, in Belgio, il quale ha suggerito di creare “un rito alternativo” che consenta la benedizione in Chiesa delle coppie omosessuali, dei divorziati risposati e dei conviventi non sposati.

Il prelato belga, compare di Kasper, ha espresso e trascritto la sua inqualificabile proposta nel libro “Puis-je? Merci. Désolé” (“Posso? Grazie. Mi spiace”), uscito nelle librerie l’11 ottobre scorso, in cui sono riportati diversi dialoghi tra Mons. Bonny, il “teologo morale” (sic!) Roger Burgraeve – peraltro favorevole al riconoscimento delle coppie omosessuali – e il giornalista Ilse Van Halst.

Il vescovo di Anversa afferma che “non possiamo continuare ad affermare che non esiste nessun altro tipo di amore diverso da quello del matrimonio eterosessuale. Troviamo lo stesso amore di un uomo e una donna che vivono insieme anche nei gay e nelle lesbiche (…) e le coppie dello stesso sesso non possono esprimere il legame profondamente simbolico dentro l’alterità sessuale e la fertilità, il che significa che non possono raggiungere una vera unione sacramentale”, ma non si può negare una “relazione d’amore” destinata ad essere “esclusiva e duratura”, e quindi meritevole di un riconoscimento.

Nel 2014 lo stesso vescovo dichiarava, in un’intervista concessa al quotidiano De Morgen, che “La chiesa deve riconoscere la relazionalità presente nelle coppie formate da persone dello stesso sesso”, aggiungendo che “troppe persone sono state escluse per troppo tempo”.

I dogmi della Chiesa andrebbero per costui eliminati: “i valori intrinseci sono per me più importanti della mera questione istituzionale. L’etica cristiana si basa su relazioni durature dove esclusività, fedeltà e cura per l’altro sono centrali”.

Dinanzi a queste inverosimili affermazioni ci si chiede in quali mani siano intrappolati migliaia e migliaia di fedeli, pecore senza pastori, o piuttosto pecore con lupi travestiti da pastori

In Italia – ma potremmo tranquillamente dire nel mondo intero – la situazione non è certamente diversa, se si pensa alla recente adesione della CEI alla marcia indetta dai radicali per il 6 novembre, marcia a favore dell’amnistia, della “giustizia” (quale?) , della “libertà”, seppur sarebbe stato più onesto parlare di liberalismo più che di “libertà”; il tutto dedicato al compianto (?) Pannella e Bergoglio, che non ha mai nascosto le sue simpatie per “Marco”.

Non occorrono grandi giri di parole per rendersi conto del desolante panorama che circonda la muraglia del Trono di Dio, per ammettere che ormai tutti hanno tradito il proprio mandato di intermediari fra il Cielo e la Terra. Si gioca ad un diabolico gioco che grida “liberi tutti”, salvo i veri cattolici, salvo poi denigrare o fare storie davanti a chi, ad esempio, richiede i Sacramenti di sempre.

Proprio come accaduto a Reggio-Emilia, diocesi in cui è stata negata ad una giovane coppia di sposi la possibilità di battezzare il proprio primogenito con un sacerdote della Fraternità Sacerdotale San Pio X.

I due coniugi, legati al sacerdote in questione per motivi spirituali ed umani, hanno oltretutto avuto la correttezza di seguire un iter ben preciso, quasi certi di poter ottenere il permesso per una chiesa nella quale già si celebra la S. Messa Tradizionale una volta al mese (ovviamente sotto la “straordinarietà”del Summorum Pontificum ).

Si sono quindi rivolti in Diocesi, motivando pienamente il loro desiderio, e chiedendo gentilmente la disponibilità della chiesa per il solo Rito del Battesimo di sempre, senza celebrazione della S. Messa. Un “impegno” quindi di un quarto d’ora.

Dopo una lunga attesa e diversi solleciti per ottenere risposta, è arrivata la categorica risposta: assolutamente NO!

“La richiesta di un sacerdote della Fraternità per la celebrazione di un Battesimo costituisce un problema canonico, che non può essere superato da un vescovo”.

La “canonicità” del sacramento supera quindi la validità di esso, amministrato e conferito da un sacerdote cattolico.

Il diniego era curiosamente motivato: “Abbiamo il compito e la responsabilità di osservare il Magistero e la disciplina della Chiesa”. L’affermazione sarebbe senz’altro accettabile, se non fosse che né l’una né l’altra cosa vengono più prese in considerazione.

E, di seguito: “il Vescovo non può acconsentire ciò che non è legittimo, così come ha il dovere di promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa, e perciò a urgere l’osservanza di tutte le disposizioni ecclesiastiche”.

Curiosamente però la diocesi è già stata disponibile a ben altre “elasticità”. Infatti a Reggio-Emilia è stata concessa, alcuni anni fa, una delle chiese più belle del centro storico agli ortodossi; ciò è stato fatto presente dai due sposi a chi di dovere, ma la solita e tipicamente ecumenica risposta non si è fatta attendere: “è vero, ma loro non sono cattolici”. Il disco rotto non viene mai sostituito, e paradossalmente nella loro non ragione hanno pure ragione: infatti è proprio con i cattolici che i falsi cattolici non vogliono avere nulla a che fare! Il dialogo, l’apertura, deve essere con quelli che non credono nell’autorità petrina e che sostanzialmente detestano la Chiesa Cattolica, o ancor peggio con i “fratelli separati” che non credono nell’Eucarestia.

L’avversione sfacciata e senza pudore s’impernia invece contro la Tradizione e il Magistero della Chiesa, quella sì, vera spina nel fianco per i nuovi umanisti che non sanno nemmeno più cosa significhi il color porpora di cui sono rivestiti (quando si vestono da vescovi).

In un tale stato di cose, come quello portato in luce dagli esempi qua sopra – e sono giusto alcuni – non rimane altro da fare che prendere atto, sinceramente, delle prospettive contro cui ci si dovrà scontrare sempre di più. Chi è onesto dovrà arrivare ad ammettere l’esistenza di una situazione straordinaria, che implica l’obbedienza alle Legge divina prima dell’obbedienza a una “autorità” che usa a suo piacimento le leggi ecclesiastiche.

Si dovrebbe dunque arrivare a parlare del cosiddetto “stato di necessità“; lo faremo in un’altra occasione.

Intanto non possiamo non vedere la situazione e non far sentire, ove necessario, la nostra voce: “Se tacerete lo grideranno le pietre”.
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