Bergoglio clamoroso: confessione valida anche se si tace per vergogna

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Tommaso de Torquemada
00lunedì 7 marzo 2016 20:21
di ricciotti il 3 marzo 2016
Bene peccatori ostinati. Francia, sana laicità multireligiosa

di CdP Ricciotti.

È passata quasi in sordina questa ennesima contro-catechesi di Bergoglio. Pochi giorni fa, ad una delegazione del movimento francese dei Poissons Roses, “cristiani di sinistra”, Bergoglio ha auspicato: «Alla Francia serve “una laicità sana”, che “comprende un’apertura a tutte le forme di trascendenza, secondo le diverse tradizioni religiose e filosofiche”» (clicca qui).

Cosa ne pensa la Chiesa?

Leggiamo su La Civiltà Cattolica, anno 132, volume IV, Quaderno 3151, pp. 215 e 216: «A questi sforzi di emancipazione e di laicizzazione la Chiesa ha reagito con la condanna, in blocco, del laicismo, dei suoi fondamenti dottrinali e delle sue manifestazioni nei diversi campi (legislazione ecclesiastica, lotta alla scuola cattolica, laicizzazione del matrimonio), e con l’affermazione dei principi cristiani. Cosi, Pio IX nel Sillabo (1864) condanna il razionalismo assoluto, l’indifferentismo, la separazione tra Chiesa e Stato, l’esclusione della Chiesa dal campo della scuola. Leone XIII sostiene l’obbligo per la società civile di rendere un culto pubblico a Dio e di onorare la Divinità secondo le regole e il modo con cui Dio stesso ha detto di voler essere onorato, e dichiara assurda l’opinione di coloro i quali pensano che sia permesso nelle cose pubbliche allontanarsi dagli ordini di Dio e legiferare senza tenerne alcun conto; rigetta, quindi, le “libertà moderne”, vale a dire la libertà di culto, la libertà di parola e di stampa, la libertà d’insegnamento e la libertà di coscienza (cfr. Libertas, 20 giugno 1888). San Pio X condanna come “un errore assai pernicioso” la separazione tra Chiesa e Stato, rilevando che “questa tesi infligge gravi danni alla stessa società civile, perché questa non può prosperare né durare a lungo quando non si dà nessun posto alla religione” (cfr. Vehementer nos, 11 febbraio 1906). Pio XI chiama il laicismo “la peste della nostra epoca” (cfr. Quas Primas, 11 dicembre 1925), e condanna la “laicità” intesa come “un sentimento o un’intenzione contrari o estranei a Dio e alla religione” (cfr. Maximam Gravissimamque, 18 gennaio 1924, in AAS XVI [1924], 17). In particolare, egli afferma che “tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo. Né v’e differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che siano gli uomini singoli. È Lui solo la fonte della salute privata e pubblica; è Lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli cittadini sia per gli Stati. Non rifiutino, dunque, i Capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del potere, l’incremento e il progresso della patria” (cfr. Quas Primas, in Civiltà Cattolica. 1926 – 110)».

Ma veniamo ad una ulteriore contro-catechesi, nuovamente sui Sacramenti. Un’altra l’abbiamo vista appena ieri (clicca qui).

2016-02-11 Radio Vaticana. Bergoglio prima si lancia in un’invito criptoluterano all’anticlericalismo: «La malattia del clericalismo… Tutti! Tutti! Anche io. Tutti abbiamo questo… Non siamo principi, non siamo padroni. Siamo servitori della gente».

Subito dopo afferma pericolosamente: «Quando una persona viene al confessionale, è perché sente qualcosa che non sta bene, vorrebbe cambiare o chiedere perdono, ma non sa come dirlo e diventa muto. ‘Se non parli non posso darti l’assoluzione’. No. Ha parlato con il gesto di venire e quando una persona viene è perché non vuole, non vorrebbe fare lo stesso un’altra volta».

Ancora, riferisce Radio Vaticana: «E se una persona dice: “Io non posso promettere questo”, perché “è in una situazione irreversibile”, ma c’è un principio morale: ‘ad impossibilia nemo tenetur’ – aggiunge Bergoglio – se è impossibile che lui capisca, ma sempre cercare come perdonare».

Due giorni prima aveva incontrato i “Missionari della misericordia”.

Ci domandiamo: ma perché, nella Chiesa sono mai esistite Congregazioni di missionari anti-misericordiosi?

Il sito del Vaticano ci riporta il Discorso completo, qui cito un estratto: «[…] mi raccomando di capire non solo il linguaggio della parola, ma anche quello dei gesti. Se qualcuno viene da te e sente che deve togliersi qualcosa, ma forse non riesce a dirlo, ma tu capisci… e sta bene, lo dice così, col gesto di venire. Prima condizione. Seconda, è pentito. Se qualcuno viene da te è perché vorrebbe non cadere in queste situazioni, ma non osa dirlo, ha paura di dirlo e poi non poterlo fare. Ma se non lo può fare, ad impossibilia nemo tenetur. E il Signore capisce queste cose, il linguaggio dei gesti. Le braccia aperte, per capire cosa c’è dentro quel cuore che non può venire detto o detto così… un po’ è la vergogna… mi capite. Voi ricevete tutti con il linguaggio con cui possono parlare».

Cosa ne pensa la Chiesa?

Usiamo il Catechismo di san Pio X commentato da Padre Dragone, pp. 592 e 593: «N° 372. Che cos’è l’accusa, dei peccati? L’accusa dei peccati è la manifestazione dei peccati fatta al sacerdote confessore, per averne l’assoluzione. Il sacramento della Confessione è istituito a modo di giudizio. Il sacerdote confessore è il giudice cui spetta pronunciare la sentenza di assoluzione o di condanna. Ma prima di pronunciare la sentenza deve conoscere i peccati e le disposizioni del penitente l’unico che le può manifestare, accusando se stesso. È quindi NECESSARIO che il peccatore faccia l’accusa dolorosa dei suoi peccati. Se l’accusa o confessione è sincera e dolorosa, il sacerdote confessore pronuncia la sentenza di assoluzione; se invece il penitente si rifiuta di essere sincero, di pentirsi o di proporre di non peccare più, il confessore DEVE NEGARE l’assoluzione. ANCHE SE LO ASSOLVESSE IL PENITENTE NON SAREBBE PERDONATO, PERCHÉ NON PONE TUTTI GLI ATTI (ACCUSA, DOLORE E PROPOSITO DI SODDISFARE CON L’EMENDAZIONE E LA PENITENZA) CHE SONO COME LA MATERIA DEL SACRAMENTO. Il sacerdote confessore assolvendo in questo caso porrebbe la forma, che non costituisce il sacramento senza la materia. In primo luogo il sacerdote confessore è giudice. Ma è anche medico e padre. Perciò DEVE CONOSCERE i mali del penitente per poterli curare e guarire, assolvendo e suggerendo i mezzi per non ricadere. “Al medico si devono manifestare le piaghe” (Tertulliano, De poenit., 10, 1). Il Concilio di Trento ha definito: “Se qualcuno oserà affermare che per la remissione dei peccati nel sacramento della Penitenza non è necessario e di diritto divino confessare tutti e singoli i peccati mortali, anche occulti… e le circostanze… di cui si ricorda dopo diligente esame, SIA SCOMUNICATO” (Sess. 14, can. 7; DB 917). L’accusa dei peccati dev’essere fatta in ordine all’assoluzione, cioè per essere assolti. Se tu racconti i tuoi peccati a un sacerdote ma non hai l’intenzione di ricevere l’assoluzione, anche se il confessore te la dà, non è valida. Infine la confessione dev’essere fatta al sacerdote confessore, cioè approvato per le confessioni. Quello non approvato assolve invalidamente, eccetto i moribondi. Riflessione. – Teniamo presente che la confessione è una accusa dolorosa, fatta dal penitente. Nelle nostre confessioni dobbiamo quindi essere pentiti e fare noi stessi l’accusa e non costringere il confessore a farci l’esame con una noiosa serie di domande.

«Esempi. 1. Il libro degli Atti degli Apostoli ci fa sapere che ad Efeso molti convertiti andavano da san Paolo e gli confessavano i loro peccati. Coloro che avevano seguito le arti magiche o superstiziose, portarono i loro libri di magia, se ne fece una catasta e fu bruciata in presenza del popolo. Il valore dei libri bruciati era di parecchi milioni di lire (v. At c. 19).

«2. San Clemente Romano, Papa (91-100) e discepolo di san Pietro, scrive: “Chi ha cura della sua anima non deve vergognarsi di confessare i suoi peccati ai preposti della Chiesa, per poter ricevere da loro la santificazione. L’apostolo Pietro insegnava che conviene manifestare ai sacerdoti perfino i nostri pensieri. Finché siamo in questo mondo convertiamoci di cuore, perché quando ne saremo usciti, non avremo più la possibilità né di confessarci, né di pentirci”.

«Leibnitz, grande filosofo e pensatore protestante, lasciò scritto: “Non si può negare che l’istituzione della confessione sia opera della sapienza di Dio. Certamente il cristianesimo non ha nulla che meriti lode maggiore. In un confessore serio, pio, prudente, io vedo un gran mezzo per la salute delle anime. E se in questo mondo è appena possibile trovare un solo amico fedele, quanto non si dovrà stimare colui che dalla religione viene legato da un sacro giuramento a mantenere la fede nelle anime e ad aiutarle a salvarsi? Il confessore è apportatore di pace, di onore, di luce e di vera libertà morale».

La vergogna non è una scusante. È necessario, per essere validamente assolti e non sacrilegamente, formulare l’accusa in ordine all’assoluzione ed averne l’intenzione, e l’opinione contraria è «in anatema», come comanda Trento.

Sant’Alfonso, Padre dei Moralisti e dei Confessori, spiega in Foglietto di cinque punti… nelle Missioni, Punto V, Della rovina di quelle anime che per rossore lasciano di confessare i loro peccati: «Inoltre nella missione bisogna fortemente e più volte inculcare il punto di vincere la vergogna nel confessare i peccati. Chi è pratico di missioni ben intende che per questa maledetta vergogna l’inferno fa grande acquisto d’anime. Onde questo è il maggior frutto delle missioni: le quali per tal motivo ne’ paesi di campagna non solo sono utili, ma precisamente necessarie; perché in tali paesi i confessori sono pochi e per lo più parenti o amici, onde il rossore ha più forza ne’ paesani di far loro tacere i peccati.

«È una compassione il vedere quante anime guadagna il demonio per questa via, specialmente in materia di peccati disonesti, ne’ quali il nemico in atto di commetterli fa perdere il rossore, ma poi lo mette innanzi quando la persona se li ha da confessare. Di ciò appunto parlando sant’ Antonino narra che un santo romito vide una volta il demonio in una chiesa dintorno ad alcuni che voleano confessarsi, e gli dimandò che facesse colà. Rispose il nemico: “A costoro, acciocché commettessero il peccato, io tolsi il rossore; ora loro lo rendo, acciocché non se lo confessino”. Quindi scrive san Grisostomo: Pudorem dedit Deus peccato, confessioni fiduciam: invertit rem diabolus; peccato fiduciam praebet, confessioni pudorem.

«Oh Dio! sorella mia, hai fatto il male: se non te lo confessi, certamente sei dannata: ora perché non te lo confessi? Rispondi: mi vergogno. E per non vincere questa vergogna vuoi esser dannata per tutta l’eternità nel fuoco dell’inferno? È vergogna offendere questo Dio così buono che ci ha creati; ma non è vergogna il confessarsi di averlo offeso. Ma giacché vuoi tacere il peccato, almeno lascia di confessarti; al peccato fatto vuoi aggiungere il sacrilegio della mala confessione? Intendi quel che fai, facendo un sacrilegio? Al peccato già fatto, col quale ti hai meritato l’inferno, non vi è altro rimedio per te che il sangue di Gesù Cristo, che ti laverà l’anima, se ti confessi bene; ma tu, con tacere il peccato ti metti sotto i piedi il sangue di Gesù Cristo medesimo».

Anche laddove Bergoglio, solitamente popolano e dal lessico sguaiato, quasi per confondere le idee usa invece il latinismo «ad impossibilia nemo tenetur», non dobbiamo farci trarre in inganno. «Nessuno è tenuto a fare cose impossibili», e questo è vero, tuttavia anche i santi sono stati consci dei propri limiti, nessuno però ha riconosciuto il limite dell’uomo come una scusante verso se stessi e le costanti cadute. Come spiega sant’Alfonso: non bisogna mai fare pace col peccato, anche se ve ne sono alcuni duri da debellare. Senza il pentimento, difatti, non può esserci assoluzione.

Tornado sempre a Bergoglio, nel punto in cui esplicita il senso del latinismo usato: «”Io non posso promettere questo”, perché è in una situazione irreversibile», non si capisce a quale “situazione irreversibile” egli faccia riferimento. Chi non può promettere di smettere di peccare, è consapevole che sta peccando, ma dimostra di non volersi redimere (ostinazione). Potremmo analizzare molti casi “limite”, ma non mi sembra questa la sede e comunque il risultato non cambierebbe, viste le premesse della “religione bergogliana”, che NON è la Cattolica, come stiamo volta per volta dimostrando.

Aggiunge Padre Dragone (Op. Cit., pag. 599): Se ci vergogniamo o se non ci pentiamo «… non otterremo il perdono e saremo svergognati dinnanzi a tutti nel giudizio universale. Ora ti puoi illudere di tenere nascosto il tuo peccato. Ma lo puoi nascondere a Gesù Cristo ed alla tua coscienza? Verrà il giorno che il tuo vergognoso segreto sarà manifestato davanti a tutti a tutti gli uomini adunati per sentire la sentenza del Giudice eterno. È assai meglio subire ora la vergogna manifestando il peccato al solo confessore e averne il perdono, che subire l’onta di essere scoperti peccatori davanti a tutti gli uomini e a tutti gli angeli presenti nel Giudizio universale, ed essere condannati. La vergogno di quel giorno sarà senza frutto!».

San Pio X al numero 377 del suo Catechismo spiega: «Chi per vergogna […] tacesse un peccato mortale, non farebbe una buona confessione, ma commetterebbe un sacrilegio». Al numero 380 poi spiega l’assoluzione: «Il sacerdote nella confessione, dopo aver ascoltato l’accusa del penitente ed essersi accertato delle sue disposizioni, pronuncia la sentenza di assoluzione della colpa, se l’accusa fu sincera e il dolo vero, efficace, interno, universale; o di condanna, non assolvendo, se il reo non ha le disposizioni necessarie».

Ora, io non sono nessuno e non ho alcun potere, ma ho quantomeno il dovere di denunciare la verità e di esortare i fedeli ed i religiosi di ogni ordine e grado a sollecitare il proprio vescovo, se ancora di vescovi si può parlare, ad ammonire canonicamente Bergoglio per questa sua ennesima sedizione e semina di veleni. Potranno perdere la sedia, ma almeno “conserveranno l’anima”.

Rincuoriamoci con le parole di pace di Sua Santità Pio XII al Sacro Collegio (2 giugno 1947): «Resistite fortes in fide!. L’avvenire appartiene ai credenti, non agli scettici e ai dubbiosi. L’avvenire appartiene ai vigorosi, che fermamente sperano e agiscono, non ai timidi e agli irresoluti. L’avvenire appartiene a coloro che amano, non a quelli che odiano. La missione della Chiesa nel mondo, lungi dall’essere terminata e presunta, va incontro a nuove prove e a nuove imprese. L’ufficio a voi affidato dalla Provvidenza in quest’ora cruciale non è di concludere una languida e pusillanime pace col mondo, ma di stabilire per il mondo una pace veramente degna al cospetto di Dio e degli uomini […]».

di CdP Ricciotti.
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