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BMI (indice di massa corporea)

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2013 15:17
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peso, rischi e paradossi
Posted: 24 Nov 2013 11:13 PM PST
Introduzione
Sintomi
Classificazione
Pericoli
Limiti del BMI
Diagnosi
Il paradosso dell’obesità
Introduzione

L’obesità è un problema di salute grave che colpisce i paesi industrializzati e che si sta aggravando sempre di più. Negli Stati Uniti nel biennio 2009-2010 l’obesità ha colpito il 36% circa della popolazione ed 1 persona su 5 muore per cause connesse all’obesità.

Secondo una ricerca pubblicata sull’American Journal of Public Health, negli Stati Uniti il sovrappeso e l’obesità sono stati connessi al 18,2 per cento dei decessi di persone adulte avvenuti tra il 1986 e il 2006. Le ricerche precedenti molto probabilmente sottostimavano l’impatto dell’obesità sulla mortalità complessiva della nazione.

Sintomi

Esistono diverse classificazioni e definizioni dei gradi di obesità, ma le più diffuse sono quelle dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), basate sul BMI (o IMC). Secondo l’OMS l’obesità va classificata usando queste categorie:

Sovrappeso di grado 1 (chiamato anche semplicemente “sovrappeso”) – BMI compreso tra 25 e 29,9 kg/m2
Sovrappeso di grado 2 (“obesità”) – BMI compreso tra 30 e 39,9 kg/m2
Sovrappeso di grado 3 (obesità grave o patologica) – BMI superiore a 40 kg/m2
Alcuni esperti invece preferiscono definire l’obesità basandosi sulla percentuale di massa grassa dell’organismo, in questo modo:

Per gli uomini – Percentuale di massa grassa superiore al 25%, con la fascia tra il 21 e il 25% considerata borderline,
Per le donne – Percentuale di massa grassa superiore al 33%, con la fascia tra il 31 e il 33% considerata borderline.
L’obesità è l’eccesso di massa grassa nell’organismo. Il termine “sovrappeso” non va confuso con l’obesità, perché a rigore indica l’eccesso di massa grassa in relazione all’altezza. I valori normali della massa grassa variano tra il 15 e il 20% per gli uomini, e tra il 25 e il 30% circa per le donne. La differenza di peso tra le persone è causata soltanto in parte dalla variazione della massa grassa, quindi il peso è un indice di obesità facile da ottenere ma di importanza limitata.

Per definire l’obesità, il BMI (IMC, indice di massa corporea o indice di Quetelet) è usato con molta più frequenza rispetto alla percentuale di massa grassa. Nella maggior parte dei casi è correlato molto strettamente alla percentuale di massa grassa, ma la correlazione è più debole per soggetti molto alti o bassi.

Il BMI è calcolato con questa formula:

peso / altezza2

dove il peso è espresso in chilogrammi e l’altezza in metri. In Rete è possibile calcolarlo automaticamente, ad esempio qui.

La percentuale di massa grassa può essere stimata indirettamente usando la formula di Deurenberg:

percentuale di massa grassa = 1,2 x BMI + 0,23 x età – 10,8 x sesso – 5,4

dove l’età è espressa in anni e il sesso è uguale a 1 per gli uomini e a zero per le donne. Questa formula ha un errore medio del 4% e rende conto dell’80% circa della variazione della massa grassa.

Il BMI tipicamente è correlato con la percentuale di massa grassa in modo non lineare, con alcune importanti eccezioni. Nelle persone mesomorfe (molto muscolose), un BMI che normalmente sarebbe indice di sovrappeso o di lieve obesità può non avere l’interpretazione solita, mentre in alcune persone affette dalla sarcopenia (anziani e asiatici, soprattutto originari dell’Asia del Sud), un BMI che secondo la scala di valutazione è normale può nascondere un eccesso di massa grassa non compensato da un’adeguata massa muscolare.

Proprio per via di queste limitazioni, alcuni esperti preferiscono definire l’obesità basandosi sulla percentuale di massa grassa dell’organismo. Negli uomini l’obesità è caratterizzata da una massa grassa superiore al 25%, con l’intervallo tra il 21 e il 25 per cento considerato borderline. Nelle donne, l’obesità è definita come massa grassa superiore al 33%, con l’intervallo tra il 31 e il 33% considerato borderline.

Classificazione

Esistono diverse classificazioni e definizioni dei gradi di obesità, ma le più diffuse sono quelle dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), basate sul BMI (o IMC). Secondo l’OMS l’obesità può essere classificata usando queste categorie:

Sovrappeso di grado 1 (chiamato anche semplicemente “sovrappeso”) – BMI compreso tra 25 e 29,9 kg/m2
Sovrappeso di grado 2 (“obesità”) – BMI compreso tra 30 e 39,9 kg/m2
Sovrappeso di grado 3 (obesità grave o patologica) – BMI superiore a 40 kg/m2
I valori soglia delle varie categorie variano a seconda dell’etnia del paziente. Ad esempio un indice di massa corporea pari o superiore a 23 kg/m2 può indicare il sovrappeso di grado 1 e un BMI pari o superiore a a 27,5 kg/m2 può indicare il sovrappeso di grado 2 (obesità) in molte popolazioni asiatiche, in cui queste soglie si sono rivelate significative per distinguere un grado di rischio rispettivamente alto e molto alto. Le altre soglie identificate come potenziali valori soglia in queste popolazioni sono 32,5 kg/m2 e 37,5 kg/m2.

Nella letteratura chirurgica spesso viene usata una classificazione diversa per riconoscere gradi di obesità particolarmente gravi:

Obesità grave – BMI superiore a 40 kg/m2
Obesità patologica – BMI compreso tra 40 e 50 kg/m2
Super obesità – BMI superiore a 50 kg/m2
Nei bambini il sovrappeso nella maggior parte dei casi è definito come indice di massa corporea superiore all’85mo percentile (riferito agli intervalli di età distinti per sesso) e l’obesità come superiore al 95mo percentile.

Pericoli

I dati ricavati dai database delle assicurazioni e da ampi studi prospettici (Framingham e NHANES tra gli altri) indicano chiaramente che l’obesità è connessa a un aumento sostanziale dei tassi di morbidità e di mortalità.

Le conseguenze avverse dell’obesità possono essere attribuite in parte alla comorbidità, ma i risultati ricavati da diversi studi osservazionali, spiegati dall’Expert Panel on the Identification, Evaluation and Treatment of Overweight Adults, e i risultati delle ricerche di Allison, Bray e altri, dimostrano con dovizia di particolari che l’obesità, da sola, è connessa all’aumento della morbidità e della mortalità cardiovascolare ed è una delle principali cause di mortalità complessiva.

Per un paziente con un BMI compreso tra 25 e 28,9 kg/m2 il rischio relativo di soffrire di coronaropatie è pari a 1,72. Il rischio aumenta progressivamente all’aumentare del BMI: se il BMI è superiore a 33 kg/m2, il rischio relativo diventa di 3,44. Tendenze simili sono state rilevate per la relazione tra l’obesità e l’ictus o l’insufficienza cardiaca cronica.

Nel complesso si stima che l’obesità quadruplichi il tasso di mortalità cardiovascolare e raddoppi il tasso di mortalità per tumore. Nelle persone gravemente obese il tasso di mortalità complessivo aumenta da 6 a 12 volte. Non c’è accordo sul numero esatto di decessi che potrebbero essere connessi all’obesità (da 112.000 a 365.000 all’anno nei soli Stati Uniti), ma è senza dubbio il fattore di rischio, dopo il fumo, la principale causa di mortalità che può essere efficacemente prevenuta.

Per i pazienti gravemente obesi (con un BMI ≥40) la speranza di vita diminuisce di 20 anni negli uomini e di circa 5 anni nelle donne. Il fatto che la speranza di vita diminuisca molto di più per gli uomini è coerente con la maggiore incidenza dell’obesità androide (cioè prevalentemente addominale) e con il fatto che le donne sono biologicamente più ricche di massa grassa. Il rischio di morte prematura è ancora superiore se il paziente fuma.

Alcune ricerche indicano che negli Stati Uniti, se la tendenza all’obesità non verrà corretta, nel prossimo futuro la longevità potrebbe diminuire. I dati inoltre indicano che l’obesità è correlata a un aumento del rischio e della durata della disabilità cronica. L’obesità in età adulta è connessa tra l’altro a una diminuzione della qualità della vita nella terza età.

Tra i fattori che influiscono sulla morbidità e sulla mortalità connessa all’obesità ricordiamo:

età della comparsa e durata dell’obesità,
gravità dell’obesità,
quantità di massa grassa addominale,
comorbidità,
sesso,
stato di salute cardiorespiratoria,
origine etnica.
Limiti del BMI

L’indice di massa corporea ha molti svantaggi. La divisione in fasce non dipende né dall’età né dal sesso, ma intuitivamente non ha senso che per valutare un uomo alto 2 metri e una donna alta 1,60 si usi la stessa scala. Usare soltanto l’altezza e il peso, inoltre, oscura le differenze di composizione dell’organismo e di distribuzione della massa grassa che dipendono dall’etnia del paziente.

Il BMI è una pura e semplice formula che serve per valutare se ci sono dei chili di troppo, perché se c’è uno squilibrio energetico, cioè le calorie in entrata sono maggiori di quelle bruciate. La formula, però, non dice in che modo il paziente è arrivato a pesare quel numero di chili, cioè da dove arrivano le calorie in eccesso. I chili in più sono stati accumulati con una dieta sana a base di frutta a guscio, latte scremato, cereali integrali, frutta, verdura e alimenti ricchi di omega-3 come il salmone, oppure con alimenti spazzatura ricchi di calorie vuote, cioè con un valore nutritivo inferiore? L’espressione “siamo ciò che mangiamo” non potrebbe essere più vera!

La formula del BMI non tiene in considerazione nemmeno il livello di forma fisica del paziente, che invece è un’altra variabile importante. Il paziente fa attività fisica regolarmente? Sul peso totale, quant’è la massa grassa e quanta la massa muscolare? Una ricerca basata su dati ricavati dall’Aerobics Center Longitudinal Study ha esaminato più di 14.000 uomini di età media di 44 anni e li ha seguiti per più di 11 anni. I ricercatori hanno scoperto che per quanto riguarda la mortalità complessiva e quella per cause cardiovascolari il livello di attività fisica è molto più importante del peso per quanto concerne la diminuzione della mortalità complessiva. Gli uomini che hanno mantenuto il proprio livello di attività fisica, infatti, hanno avuto in media un tasso di mortalità del 30% inferiore. Nei pazienti che hanno migliorato il livello di attività fisica, i risultati sono stati ancora migliori, con una diminuzione media della mortalità pari al 40%. Per stare in forma quindi bisogna muoversi, cioè fare attività fisica.

Nella pratica clinica non si può limitare la discussione con i pazienti ai soli temi del peso e del BMI. Si deve invece approfondire il discorso e fare domande sul livello dell’attività fisica e sul tipo di dieta.

Diagnosi

Esami di laboratorio

Profilo lipidico a digiuno,
Esami della funzionalità epatica,
Esami della funzionalità tiroidea,
Glucosio a digiuno e emoglobina glicata (HbA1c).
Valutazione della massa grassa

Il calcolo dell’indice di massa corporea, la misura del girovita e il rapporto vita/fianchi sono le misure della massa grassa usate con maggior frequenza nella pratica clinica. Tra le altre procedure usate però in un numero inferiore di strutture ricordiamo:

plicometria (misurazione dello spessore delle pieghe adipose tramite plicometri),
assorbimetria a raggi X a doppia energia (DEXA),
bioimpedenza,
ultrasonografia (per determinare lo spessore della massa adiposa),
pesatura subacquea.
Il paradosso dell’obesità

Il paradosso dell’obesità è stato osservato in diverse ricerche recenti: ma che relazione ha con la pratica clinica? Secondo il dizionario un paradosso è un’affermazione che sembra contraddittoria e senza senso, anche se potrebbe essere vera.

Come abbiamo visto le conseguenze dell’obesità sono gravi: ipertensione, diabete, patologie cardiache, ictus e malattie renali.

Misteriosamente, però, alcune ricerche hanno scoperto che alcuni pazienti in sovrappeso o obesi che soffrono di problemi connessi all’obesità presentano prognosi migliori rispetto ai normopeso, e in alcuni casi hanno anche un tasso di mortalità inferiore. Molte di queste scoperte sono riferite a pazienti con ictus, diabete e sindrome coronarica acuta.

Alcuni ricercatori suggeriscono che la massa grassa potrebbe avere un ruolo protettivo, forse perché secerne citochine e ormoni benefici. La massa grassa, inoltre, fa da cuscinetto, quindi da barriera protettiva in caso di traumi. Durante il processo di guarigione da una malattia, la riserva di grasso può essere molto utile come riserva calorica.

Il paradosso dell’obesità potrebbe essere spiegato dal modo in cui la comunità medica gestisce e cura i fattori di rischio nei pazienti obesi. Forse l’approccio è più aggressivo? Forse si iniziano più tempestivamente le terapie per le patologie croniche perché i pazienti sono obesi?

Anche l’età potrebbe contribuire a spiegare il paradosso dell’obesità. Ad esempio, nella ricerca che indica che dopo 3 anni dall’intervento coronarico percutaneo i pazienti in sovrappeso o obesi presentano un rischio di decesso minore rispetto a quelli normopeso, i pazienti obesi spesso sono più giovani rispetto ai normopeso.

Il report congiunto del Institute of Medicine e del National Research Council, U.S. Health in International Perspective: Shorter Lives, Poorer Health contiene la versione definitiva del paradosso: gli Stati Uniti hanno alcune delle strutture sanitarie migliori del mondo e sono i primi al mondo per la spesa nella sanità, eppure gli americani si ammalano di più e vivono meno rispetto agli abitanti di altre 16 nazioni industrializzate (Australia, Austria, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Giappone, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Paesi Bassi e Regno Unito.). Questo paradosso vale anche per gli americani meno svantaggiati, cioè quelli che hanno un’istruzione superiore e sono coperti dall’assicurazione sanitaria, tuttavia la differenza è più evidente nei gruppi svantaggiati dal punto di vista socioeconomico.

Non è la fase finale di gestione della malattia cronica che fa perdere posizioni in classifica agli Stati Uniti. La maggior parte degli americani, infatti, ha la pressione e il colesterolo più bassi, fuma di meno e ha un tasso di sopravvivenza al tumore maggiore rispetto alle altre nazioni. Per i settantacinquenni americani la speranza di vita è maggiore rispetto a quella degli anziani degli altri paesi considerati. Negli Stati Uniti la sfida più grande è arrivare ai 50 anni. I decessi tra gli under 50 sono responsabili dei due terzi della differenza tra gli Stati Uniti e gli altri paesi nella speranza di vita per gli uomini e di un terzo di quella delle donne.

Nella ricerca condotta dall’Institute of Medicine, gli Stati Uniti sono nelle zone basse della classifica per nove indicatori importanti. Sono al primo posto per obesità e diabete, hanno il tasso di mortalità massimo per patologie polmonari e sono secondi per il tasso di mortalità per malattie cardiache. Hanno anche il tasso di mortalità infantile più alto. Hanno il tasso di mortalità massimo per incidenti automobilistici, violenza e omicidi, soprattutto tra gli adolescenti; inoltre sono massimi: la percentuale di gravidanze tra le adolescenti, l’incidenza dell’AIDS e il numero di decessi imputabili all’uso di alcol e droghe. Gli Stati Uniti, quindi, sono tra le nazioni più ricche del mondo, ma non tra quelle più sane.

Le ricerche che evidenziano tassi di mortalità inferiori tra le persone in sovrappeso o obese vanno certamente prese con le molle: i loro risultati non devono indurre a trascurare la vasta letteratura che individua i rischi connessi all’obesità e alla sedentarietà. Il vero paradosso è il fatto che, nonostante la ricchezza e i soldi spesi per la sanità, lo stato di salute degli Stati Uniti è peggiore rispetto a quello delle altre nazioni industrializzate: a questo bisogna fare attenzione, nella pratica clinica, e non solo nella ricerca.

Fonte Principale: MedScape (traduzione ed integrazione a cura di Elisa Bruno)

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L'articolo BMI (indice di massa corporea): peso, rischi e paradossi è stato inizialmente pubblicato su Farmaco e Cura.

Tratto da
www.farmacoecura.it

Franco
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"Cio’ che i Cattolici furono un tempo , noi lo siamo ora . Se noi abbiamo torto , allora anche i Cattolici hanno avuto torto per duemila anni . Noi siamo cio’ che un tempo siete stati voi. Noi crediamo in cio’ che voi un tempo credevate . La nostra fede e’ la stessa che un tempo avevate anche voi . Se noi abbiamo torto ora , avevate anche voi torto allora . Se avevate ragione voi allora , abbiamo ragione noi adesso".
Robert De Piante

“Al di sopra del Papa, come espressione della pretesa vincolante dell’autorità ecclesiastica, resta comunque la coscienza di ciascuno, che deve essere obbedita prima di ogni altra cosa, se necessario anche contro le richieste dell’autorità ecclesiastica.”
(Cardinal Joseph Ratzinger - Commentary on the documents of Vatican II, vol. V, p. 134, Herbert Vorgrimler - Ed. Herder and Herder)
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